Cosa si intende per ‘aumento del tasso di interesse’
L’aumento dei tassi di interesse da parte della BCE ci riguarda da vicino. L’obiettivo dichiarato di questo rialzo è quello di contenere la corsa dell’inflazione. Nel dettaglio, la misura di politica monetaria prevede l’aumento del tasso di rifinanziamento principale dal 3% al 3.5%. Mezzo punto potrà sembrare, a molti, una cosa da poco, ma non è così. Il rialzo non lo sentiranno solo coloro che lo subiranno al momento di pagare la rata del mutuo o del finanziamento, ma anche tutte e tutti noi. Nel momento in cui famiglie e imprese domandano credito sotto forma di prestiti ad una banca commerciale, quest’ultima domanda alla banca centrale un determinato quantitativo di risorse in prestito, le cosiddette riserve, in un ammontare calcolato in percentuale di quanto i clienti della banca hanno depositato presso di essa. Per questo prestito, le banche commerciali pagano un prezzo alla banca centrale, il tasso di rifinanziamento principale.
L’aumento del tasso di rifinanziamento principale ha come conseguenza un costo maggiore sopportato dalle banche commerciali che, a loro volta, lo scaricano sulla clientela. Accendere un mutuo od un finanziamento, quindi, costa necessariamente di più di quanto non costasse nel Luglio del 2020 con tassi a zero. Ma se le imprese hanno la possibilità di scaricare su di noi (in quanto acquirenti dei beni prodotti dalle azienda) i maggiori costi derivanti dall’innalzamento dei tassi, lavoratrici e lavoratori non possono contare su questa possibilità e, naturalmente, si costringono a limitare i propri acquisti.
Proprio su questo meccanismo fa conto la BCE per ridurre l’inflazione a spese nostre:
- alzare i tassi di interesse vuole dire rendere più costoso accendere un mutuo o chiedere un finanziamento
- alzare i tassi di interesse vuole dire spingere le imprese ad alzare il prezzo dei propri prodotti
- la combinazione di questi due processi porta inevitabilmente alla riduzione dei consumi e, quindi, dell’occupazione
- si entra così in una fase di recessione che la BCE (e il padronato italiano) ritengono il modo più immediato (e più doloroso) di disciplinare i lavoratori e tenere a bada i salari.
Questo processo è chiarissimo: i costi di un’inflazione importata vengono scaricati sulla parte più debole della società permettendo così alle aziende di continuare ad approfittare degli aumenti dei prezzi senza pagare dazio. Il calcolo di quanto ci costerà a fine anno questa politica lo ha fatto la stessa BCE che ha dichiarato che l’aumento dei tassi di interesse avrà come conseguenza diretta una spesa maggiore di circa 200 euro al mese per famiglia. In questo quadro la stessa BCE ha invitato le banche a rinegoziare i mutui con le famiglie. Non per umanitarismo, ci mancherebbe altro, ma perchè i rigidi regolamenti adottati dall’unione interbancaria europea impediscono alle banche di caricarsi di troppi crediti divenuti inesigibili per sopravvenuta povertà.
Proviamo a spiegare meglio questo ragionamento.
All’aumentare del tasso d’interesse fissato dalla banca centrale, crescono tutti i tassi d’interesse dell’economia, in particolare quelli sui mutui, che vanno a colpire le famiglie dei lavoratori che hanno acquistato una casa. Mentre la rata di un mutuo a tasso fisso già concordato non risente della variazione dei tassi ufficiali, la rata di un mutuo a tasso variabile (generalmente agganciato all’Euribor, ossia il tasso di interesse interbancario, che a sua volta risente del tasso ufficiale della BCE) finisce per aumentare, seguendo le decisioni della BCE. Così, una famiglia con un mutuo a tasso variabile, acceso magari dieci anni fa, si troverebbe da un giorno all’altro a pagare una rata maggiore, e che continua ad aumentare ad ogni rialzo dei tassi deciso dalla BCE. Per quanto riguarda i mutui già erogati a tasso fisso, non si avrebbero questi problemi, ma i nuovi mutui sarebbero erogati a tassi maggiori, rendendo sempre più difficile per una famiglia accendere ad un mutuo ed accedere al diritto alla casa (specialmente per giovani con lavori precari).
In Italia il 40% dei mutui è a tasso variabile e risentirà pesantemente di questi aumenti; a fronte del rischio che queste famiglie si dichiarino insolventi, la BCE in realtà non si pone il problema di proteggere i redditi di lavoratori e lavoratrici, bensì di preservare la loro capacità di pagare (anche in maniera dilazionata) i maggiori profitti delle banche e delle aziende.
In altri termini, tutta l’attenzione della BCE è orientata ad evitare che il debitore, cioè chi ha contratto il mutuo, muoia: piuttosto, il mutuatario deve sopravvivere, seppure a stento, perché dovrà comunque finire di pagare il suo mutuo. Ecco il vero significato del termine rinegoziare: se il debitore, visto il rialzo dei tassi, non è in grado di pagare alla banca 100mila euro in 10 anni, sarà costretto a ricontrattare un pagamento, più alto, magari di 120mila euro, ad esempio in 15 anni.
Dietro allo slogan abusato della stabilità dei prezzi e della lotta all’inflazione si nasconde il ruolo politico dei banchieri centrali a tutela delle rendite finanziarie e contro il potere d’acquisto dei salari.