In tutto l’Occidente è presente un mito: l’inflazione, cioè il fenomeno del costante e significativo aumento dei prezzi dei generi di consumo, deriva dall’aumento dei salari.
Questo mito nasce negli anni 70 nel pieno dello scontro tra imprese e classi lavoratrici sulla redistribuzione della ricchezza. All’epoca lavoratrici e lavoratori erano in grado di tenere botta rispetto alle imprese e di esercitare una forte azione sindacale ed esistevano meccanismi automatici di adeguamento salariale.
Nulla di tutto questo avviene oggi.
L’inflazione attuale non nasce da un conflitto sociale attivo e non sono in piedi in tutto l’Occidente serie battaglie di recupero del terreno perso sul piano salariale.
Una prova l’abbiamo purtroppo avuta in Francia dove a un grandioso movimento di lotta sul terreno pensionistico non è seguita l’apertura di una stagione di grandi rivendicazioni nei settori lavorativi.

L’inflazione attuale in realtà ha tutta un’altra origine. La sua nascita risale ancora alla presidenza Trump in America ed è la conseguenza di politiche aggressive mirate a colpire le industrie tecnologiche cinesi. Queste politiche stanno continuando con Biden e con le amministrazioni europee che si sono accodate per ragioni politiche agli interessi degli USA.
Se a questo aggiungiamo il rallentamento economico noto a tutti e derivante prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Uno studio sull’inflazione negli Stati Uniti (guarda caso non esistono studi comparabili su quello che è successo in Europa, ma la dinamica sembra essere molto simile) assegna al costo del lavoro la responsabilità del 10% dell’incremento dei prezzi mentre l’aumento dei profitti incide su questi ultimi per il 35%.
La spirale dell’inflazione quindi è quella tra prezzi e profitti e non tra prezzi e salari.
Ora tutte le banche centrali dell’Occidente stanno continuando ad alzare i tassi di interesse. L’abbiamo già denunciato ma non ci stanchiamo di farlo: l’intenzione delle banche centrali (e dei governi con i quali agiscono di comune accordo è quello di impedire qualsiasi recupero salariale!).
Noi invece siamo convinti dell’esatto contrario: solo una ripresa del conflitto sul terreno salariale e l’adozione di misure di adeguamento automatico dei salari all’inflazione può permetterci di non diventare ancora più poveri.
L’attuale passività delle classi lavoratrici rispetto al problema salariale va superata.
Per farlo dobbiamo superare il modello imposto nel 1992/93 della contrattazione esclusiva tra governo-padronato-CGIL, CISL, UIL. Nessuno di questi soggetti fa i nostri interessi. Dobbiamo iniziare seriamente a farceli da soli!
Organizziamoci come lavoratrici e lavoratori direttamente su di un programma minimo:
• Forti aumenti salariali dell’ordine del 20%;
• Attuazione di un programma di recupero automatico dell’inflazione per evitare di pagare noi i maggiori profitti delle aziende;