L’Estate politica quest’anno è stata allietata dal dibattito sulla
proposta di legge delle opposizioni sull’istituzione del salario
minimo nel nostro paese.
Giova ricordare che l’Italia è uno dei pochi paesi europei dove una
simile misura non è contemplata e dove, quindi, non esiste nessun tipo di “pavimento salariale” sotto il quale una lavoratrice o un
lavoratore non possa essere pagata.
Per qualche anno questo ruolo è stato svolto dal Reddito di
Cittadinanza che ha permesso a migliaia di persone di evitare il
ricatto tra la fame e un salario di mera sopravvivenza.
Non è un caso che il governo Meloni, con lo scopo di favorire le
imprese medie e piccole che operano in settori come il turismo e la
ristorazione, appena insediato abbia iniziato la distruzione di questo piccolo tassello di difesa della popolazione più povera. Non vogliono che ci sia nessuna scappatoia alla schiavitù!
Allo stesso modo il governo si è opposto alla pur timida proposta
delle opposizioni di istituire un salario minimo a 9 euro. Ancora una
volta non vogliono che ci sia un limite alla rincorsa salariale verso
il basso!
La proposta peraltro ha il grosso difetto di compensare gli aumenti
salariali che le aziende dovrebbero applicare, riconoscendo un
trasferimento pubblico di denaro a queste imprese. In pratica le tasse pagate dalla classe lavoratrice servirebbero a pagare gli aumenti salariali ad un’altra parte di classe lavoratrice.
IN QUESTO GOVERNO ED OPPOSIZIONI SONO UNITE: LE IMPRESE NON DEVONO PAGARE NULLA IN PIU’! A PAGARE DEVONO ESSERE LE SOLITE E SOLITI NOTI!
A fronte di un provvedimento che comunque migliorerebbe la vita ad almeno tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori (altre cifre
parlano di quasi cinque milioni), il governo non sa opporre altro che il consueto ritornello già avanzato dal Governo Draghi, sul taglio del cuneo fiscale.
Si tratta di una favola (neppure bella) per la quale la classe
lavoratrice sarebbe così povera a causa dell’alto peso della pressione fiscale sulle attività lavorative.
Peccato che la riduzione del cuneo fiscale sia in buona sostanza un
provvedimento di sostegno alle imprese che vedono ridurre fortemente il peso dei costi contributivi e fiscali per dipendente a loro carico, mentre lavoratrici e lavoratori hanno da questa manovra un vantaggio minimo che, per di più, viene immediatamente distrutto dall’iniqua distribuzione del peso del fisco che grava sostanzialmente su chi lavora e non sulle imprese.
A questo bisogna aggiungere una riforma fiscale tutta tesa a favorire le imprese ed i redditi da capital, riducendo il numero delle aliquote (e quindi facendo pagare proporzionalmente di più a chi guadagna di meno) e introducendo un numero sempre maggiore di esenzioni e tassazioni privilegiate per il padronato ed i possessori di azioni e per le partite IVA.
Naturalmente al danno qui si aggiunge la beffa, laddove un minor
gettito fiscale comprometterà ulteriormente le prestazioni pubbliche come quelle della Sanità, rendendo più difficile curarsi proprio alle persone più povere.
In buona sostanza, al di là dei dibattiti estivi, resta la nostra
condizione di lavoratrici e lavoratori poveri, privati anche degli
ultimi mezzi per evitare di finanziare un padronato fatto di imprese
che nemmeno reggerebbero la concorrenza senza essere assistite dal denaro pubblico. Proprio quel denaro che solo noi, come classe
lavoratrice, siamo chiamati a versare nelle casse dello stato in modo
che quest’ultimo possa finanziare la corte di padroni e padroncini che lo sostiene.
Il dibattito estivo ha dimostrato in modo crediamo definitivo come non ci si possa aspettare nulla di positivo da un cielo della politica che si dimostra attento in modo esclusivo alle necessità delle imprese nelle sue varie articolazioni.
Quello che è strettamente necessario è una ripresa di parola e di
azione da parte nostra. La capacità troppo spesso data per morta, di organizzarci e di lottare per cambiare la situazione.
Questo va fatto fuori dal sindacalismo istituzionale che ha ampiamente dimostrato di essere tranquillamente disposto a vendere la (nostra) pelle pur di favorire la (propria ) sopravvivenza. A confermarlo arrivano i dati sui salari dei paesi più industrializzati che dimostrano che negli ultimi trent’anni il nostro sia l’unico paese che abbia visto una caduta dei salari reali. Non a caso sono i trent’anni della “politica della concertazione”.
Dal 1992 ad oggi la contrattazione avviene a tre: Padronato, governo e CGIL-CISL e UIL. Più chiaro di così si muore!
La nostra proposta oggi è quella di costruire nuovamente la nostra
forza fuori da istituzioni sindacali che hanno dimostrato di essere
più interessate a garantire la propria sopravvivenza che non il nostro benessere. Con forze sindacali così non andremo da nessuna parte!