La guerra in Ucraina ha compiuto un anno di vita tra morti, distruzioni e un contesto internazionale che è cambiato profondamente. La forte connessione esistente fino al febbraio del 2022 tra i paesi dell’Unione Europea e la Russia è stata drasticamente tagliata e ne hanno risentito la produzione industriale europea, i costi di tutte le spese in materie prime e, ovviamente i nostri salari e il loro peso rispetto al costo della vita.

La guerra in Ucraina non è un fatto nuovo: dal 2014 era già in corso un conflitto che vedeva opposti l’Ucraina e le regioni del Donbass dove la maggioranza russofona non ha mai avuto intenzione di accettare un governo deciso a tagliare tutti i ponti con Mosca e a integrarsi nel blocco atlantico.

L’invasione del paese da parte dell’esercito russo è solo l’ultima e la più evidente manifestazione di una guerra latente che riguarda i confini dell’occidente, inteso come blocco di interessi a guida americana e che ha conosciuto una formidabile espansione dagli anni Novanta del secolo scorso a oggi.

Non si tratta di una guerra per la libertà e la democrazia, nobili parole tranquillamente calpestate dallo stesso occidente in Kurdistan, in Palestina, in gran parte dell’Africa e dell’America Latina. Si tratta di uno scontro tra la potenza principale mondiale e una potenza regionale decisa a mantenere la propria posizione e ad allargare il proprio raggio d’azione al di la dei suoi confini in modo assolutamente speculare.

Ma non è solo una guerra esterna. Mentre l’occidente si dimostra compatto nel contrasto in corso contro la Russia, al suo interno si disegnano nuove gerarchie e si producono vincenti e perdenti. La Germania, cuore del progetto europeista si trova a sopportare costi sempre più alti per mantenere in piedi il suo apparato industriale e con la Germania entra in sofferenza anche un paese come l’Italia che ne costituisce l’hinterland produttivo. Più in generale i paesi dell’Europa occidentale perdono posizioni e importanza nei confronti dei paesi come Polonia e Romania che si trovano sulla linea del fronte e godono necessariamente di un massiccio supporto da parte di Washington

Allo stesso tempo gli Stati Uniti continuano con le politiche decise sia da Obama che da Trump e riportano in dimensioni sempre maggiori a casa le industrie delocalizzate durante la prima fase della globalizzazione, chiudendo stabilimenti e filiere in Europa.

In generale le gerarchie occidentali cambiano e, citando Bob Dylan, “i perdenti di oggi possono essere i vincenti di domani”, in un gioco generale che lascia poco spazio a ipotesi di futuri sviluppi pacifici nel vecchio continente.

Per quanto ci riguarda direttamente la guerra impatta in due modi, entrambi pesantissimi:

1) l’innalzamento del costo della vita e la ripresa dell’inflazione in condizioni di blocco dei salari rafforza il trasferimento della ricchezza dalle lavoratrici e dai lavoratori verso le aziende; in particolare rafforza le entrate delle aziende che lucrano sugli aumenti di gas ed elettricità e quelle che vendono armi, ma non solo. Si tratta di un finanziamento forzoso che noi facciamo ai padroni di queste aziende

2) la condizione di paese in guerra (anche se per ora solo “fredda”) limita le nostre libertà di movimento e di opinione. Già adesso si viene linciati se si osa esprimere un parere differente dalla linea ufficiale del paese, con il radicalizzarsi della situazione le cose non possono che andare sempre peggio.

In questa situazione viene fuori la verità sulla nostra società. Come già qualcuno notava nell’Ottocento, il sistema delle imprese ha il suo antenato diretto negli eserciti moderni. Ancora oggi le imprese prendono ad esempio della propria organizzazione interna quella militare. In azienda così come nell’esercito ci vogliono tutte e tutti disciplinate, capaci di fare solo quello che ci viene comandato e pronte all’obbedienza

Funziona così in tutte le istituzioni della nostra società: nelle aziende, negli ospedali, nelle scuole. La cooperazione tra le persone, la capacità di fare scelte e di decidere sul proprio lavoro viene radicalmente negata oppure sfruttata direttamente ai fini del rafforzamento del comando aziendale.

La guerra in corso in Ucraina non è una guerra di civiltà, non è una guerra per la libertà.

Per noi lavoratrici e lavoratori è in generale un pessimo affare. Dobbiamo costruire una forte mobilitazione per imporre una soluzione pacifica del conflitto che rispetti le vite delle popolazioni coinvolte. Per farlo dobbiamo mobilitarci in primo luogo all’interno del nostro paese contro la fornitura di armi all’Ucraina.

Fornire armi a un combattente tutto può essere tranne che è un modo di favorire il ritorno della pace. La realtà è che le classi dominanti in tutto l’occidente e anche nel nostro paese non vogliono la fine del conflitto ma la sua continuazione e per fare questo sono disposte a tutto.

DOBBIAMO FERMARLE!

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