IN ATTESA DEL GENOCIDIO. IL PREMIO NEGATO

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Adania Shibli ha 49 anni e scrive romanzi e saggi. È nata in Palestina, e proprio di quel territorio e della sua storia parla nel suo ultimo romanzo “Un dettaglio minore”, che vede l’intrecciarsi del discorso coloniale e di quello di genere. Ne riportiamo qui una recensione di Giacinto Zappacosta.

IN ATTESA DEL GENOCIDIO. IL PREMIO NEGATO
Piccola storia palestinese. Il romanzo di Adania Shibli

Anche i Palestinesi sono capaci di cultura. “Un dettaglio minore” ha un effetto dirompente nell’animo del lettore, condotto per mano attraverso una descrizione dei fatti, ma anche dei piccoli gesti che compiono i personaggi, che non lascia spazio all’immaginazione. La narrazione, se non suonasse ambiguo il termine, potrebbe essere definita pedante, ma con la specifica che trattasi di una pedanteria di stampo kantiano, limpida nella sua precisione, individuata con cura, completa fin nei dettagli. È lo stile di Adania Shibli, una donna palestinese di 49 anni, che ci consegna, interrogando la nostra coscienza, un fatto storico, vero e verificato, ricostruito tramite ricerca sulle fonti, accaduto nell’estate del 1949, un anno dopo la guerra che i Palestinesi denominano Nakba, vale a dire Catastrofe, la quale ebbe come esito infelice, i cui effetti perdurano, l’espulsione di 700.000 uomini, donne, vecchi e bambini, deportati lontano dalle loro case. Specularmente, il che è sintomatico, gli ebrei chiamano quel fatto d’armi “guerra d’indipendenza”, a significare, in tutta evidenza, come la nascita di uno stato, quelle ebraico, trovi le sue scaturigini nell’oppressione e nell’avvilimento di un altro popolo, avvertito quale nemico.

Lo scenario è l’alternarsi di colline sabbiose nel deserto del Negev, paesaggio descritto dalla scrittrice con bella prosa, che qua e là evolve in passi di vera poesia. Per inciso, la traduzione italiana del romanzo dall’arabo, proprio in riferimento alle immagini definite in forma lirica, mi sembra ben riuscita. Non sempre è così, specie quando la trasposizione in altra lingua è chiamata a rendere una forma di assoluto valore. È il caso, per esempio, di “Giuda l’oscuro”, scritto da Thomas Hardy, la cui traduzione in italiano, almeno quella da me conosciuta, non mi soddisfa pienamente. Vorrei solo aggiungere, nell’inciso, un fatto per me curioso: mi sono imbattuto per la prima volta nel termine “afrore”, grazie alla traduzione in italiano dall’arabo di “Un dettaglio minore”. È uno scherzo della cultura, oppure, come direbbe qualcuno, l’astuzia della Ragione.

Ma torniamo al Negev e al 1949. Un plotone di saldati israeliani (la proclamazione dello stato ebraico è del 1948) ha il compito di verificare la presenza di “infiltrati” nella zona prossima all’Egitto. Ora, facendo ricorso ad un minimo di logica, se gli “infiltrati”, così nomati nel gergo militare, coincidono con gli autoctoni, vale a dire coloro che, semplicemente, abitano le proprie terre, gli atti posti in essere
dagli israeliani integrano una vera e propria pulizia etnica. E difatti i militi si imbattono in alcuni Beduini che sostano in un’oasi: la sorte di costoro è già segnata, trovando essi la morte, che immantinente arriva per mano dei soldati. Un atto d’armi impari, proprio di un esercito che uccide civili, disarmati. Muoiono dunque i Beduini, tutti. Tranne una ragazza, che viene portata al campo ed utilizzata, a turno, dai soldati, compreso il più alto in grado, per i propri piaceri sessuali, fino a quando, qualche giorno dopo, viene uccisa.

Adania Shibli ci presenta dunque, nella prima parte del romanzo, un dato antropologico della sua terra, la presenza di tribù nomadi (beduini in arabo significa abitatori del deserto), che vivono, per ragioni collegate all’allevamento, attraversando i crinali delle dune. E a proposito di popolazioni non stanziali, la mente corre all’altro lato del mondo, dove gli aborigeni australiani subirono medesima sorte per mano degli inglesi. Nomadismo che viene letto da qualcuno, specie in questi giorni, come sintomo di inferiorità rispetto al popolo eletto, capace di far fiorire il deserto. Che però esiste ancora, con i profili sabbiosi e le sue oasi. Piuttosto, si tratta di essere coerenti: se gli israeliani, nel dire di
qualcuno, anche in queste ore in cui la propaganda fa stragi, sono stati e sono più bravi dei Palestinesi, e se si insiste su questo, che è un fatto tutto da dimostrare, allora dite chiaramente che un popolo ritenuto superiore etnicamente ha diritto di conculcare i diritti di un altro popolo, che voi additate quale inferiore. Almeno, abbiate il coraggio di affermare il vostro pensiero nella sua completezza.

La morte di alcuni Beduini, dunque. Soprattutto, la morte di una ragazza, di quella ragazza, trucidata nel giorno e nel mese in cui, venticinque anni dopo, sarebbe nata Adania. Una data, il 13 agosto 1949, che segna per sempre la vita della scrittrice palestinese. La quale, nella seconda parte del racconto, ci parla delle sue ricerche spasmodiche per ricostruire quell’incidente. Nella trama del racconto emergono e prendono corpo dettagli minori, come l’odore, o se si preferisce il fetore, di benzina, che la narratrice avverte su di sé e sui suoi vestiti, per aver maldestramente utilizzato la pompa, all’atto di riempire il serbatoio dell’auto. L’effluvio rimanda alla benzina sparsa da un soldato israeliano sulla testa della giovane beduina per prevenire il diffondersi dei pidocchi, lezzo che l’ufficiale di comando avverte poi su di sé e sui suoi abiti dopo essersi intrattenuto, a letto, con la ragazza. E via di questo passo, tra dettagli che si sommano gli uni a gli altri, fino a restituirci una Palestina occupata militarmente ed offesa nei diritti quotidianamente conculcati.

Da notare, al riguardo, che il libro è del 2017, mentre la prima edizione in lingua italiana è del 2021, la seconda di quest’anno. La trama è quindi estranea rispetto ai fatti di questi giorni e di queste ore, ma non lo sono i risvolti e le ricadute che hanno visto come protagonista, suo malgrado, la scrittrice, cui è stato negato il premio alla Fiera di Francoforte, premio che in un primo momento le era stato assegnato. D’altra parte, ed in compenso, le due edizioni italiane testimoniano, se non altro, un’attenzione presso il nostro pubblico di lettori. È un primo passo. Ma dobbiamo fare di più: il genocidio ai danni dei Palestinesi è appena iniziato.

Giacinto Zappacosta