Lo scontro tra due fazioni del capitale
di Emiliano Brancaccio
La banca centrale aumenta i tassi d’interesse, agendo in sostanza come una «scala mobile» dei capitalisti in posizione di credito
Quando Lagarde e gli altri banchieri centrali vi dicono che sono costretti ad alzare i tassi d’interesse per ridurre l’inflazione, vi raccontano bugie. Non sussiste infatti evidenza scientifica di relazioni stabili tra rialzo dei tassi e declino dei prezzi.
Gli economisti usano dire che il canale di trasmissione che va dall’uno all’altro è irto di ostacoli, persino contraddittorio. Basti notare che per molte aziende il tasso d’interesse rappresenta un costo, e quindi un suo aumento può tradursi non in una riduzione ma addirittura in un incremento dei prezzi.
L’unica eccezione documentata di un tangibile effetto antiinflazionistico è quando il rialzo dei tassi è così violento che l’economia subisce un vero e proprio crollo. Da ciò ovviamente scaturisce un boom della disoccupazione e quindi, a lungo andare, anche un declino dei salari e dei prezzi.
Ma questo, se ci pensiamo bene, somiglia un po’ allo strano caso in cui, per risolvere una lieve storta al piede, l’ortopedico ci propone di amputare la gamba. Se questa fosse davvero la ricetta antiinflazionistica della Bce, potremmo senza indugio definirla una «politica monetaria dell’orrore».
In effetti, dall’austriaco Holzmann all’olandese Knott, vari membri del direttorio di Francoforte non si vergognano di sostenere una tale visione “splatter” della politica monetaria: per loro, pur di abbattere i prezzi, ben venga una grande crisi! Ma al di sotto di questa sanguinolenta interpretazione di superficie, esiste un motivo più profondo per cui i banchieri centrali stanno continuando ad alzare i tassi d’interesse. Il loro vero proposito, infatti, non è di governare l’inflazione, ma di rimediare a essa.
Lo sguardo dei banchieri centrali è rivolto soprattutto ai danni che l’inflazione arreca ai capitalisti in posizione di credito. L’aumento dei prezzi riduce il valore reale dei rimborsi e degli interessi che i creditori si attendono dai loro debitori. Per compensare tali perdite, i creditori chiedono allora una politica monetaria di aumento dei tassi d’interesse. Chiaramente i debitori protestano, evocando il rischio di insolvenze di massa. Ma la voce dei creditori alla fine prevale: la banca centrale aumenta i tassi d’interesse, agendo in sostanza come una «scala mobile» dei capitalisti in posizione di credito.
Ecco dunque spiegata la continua disputa interna al direttorio della Bce. I media mainstream ce la presentano come una raffinata controversia tecnica tra chi intende combattere l’inflazione e chi vuole evitare la recessione. Ma la verità è che si tratta di un rude scontro politico tra due fazioni del capitale: quelli in posizione di debito che invocano tassi bassi e quelli in posizione di credito che li vogliono alti.
In questa lotta tra debitori e creditori, la collocazione dell’Italia è oggi meno scontata di un tempo. Da un lato, il nostro è un capitalismo assistito che vive di sgravi, sussidi e prebende, e che anche per questo accumula un ingente debito, privato e soprattutto pubblico. Dall’altro lato, però, questo paese ha attuato un’austerity così violenta da schiacciare i redditi interni e quindi anche le importazioni di merci dagli altri paesi, con la conseguenza che da qualche anno siamo diventati creditori netti verso l’estero.
Questa collocazione ibrida dell’Italia, tra credito estero e debito interno, aiuta anche a capire perché l’attuale governo sta manifestando qualche imbarazzo a prendere una posizione netta in tema di tassi d’interesse. Ovviamente, la critica nostrana ai continui rialzi dei tassi decisi dalla Bce non manca. Tuttavia, la voce della protesta italiana appare flebile, al di sotto di quel che ci si attenderebbe dal sedicente governo «anti-banche» di Meloni e soci.
Questa inattesa mitezza verso Lagarde si potrebbe spiegare con le consuete banalità, sostenendo che nel passaggio dall’opposizione al governo è richiesto un cambio di tono. Ma a ben vedere c’è di più. La condiscendenza verso la Bce potrebbe rivelare un cambio più strutturale, nella composizione di classe delle forze reazionarie al potere: la destra di lotta prospera se sostiene i debitori, la destra di governo sopravvive se si mette al servizio dei creditori.