BIBLIOCOOP

Lavoratrici e lavoratori delle biblioteche universitarie a Torino.

AGGIORNAMENTO 21 MARZO 2023:

ILLEGITTIME LE SOSPENSIONI DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA: IL TRIBUNALE DI TORINO CONDANNA COOPCULTURE

Con sentenza nr 561/2023 il Tribunale di Torino ha condannato la Coopculture al pagamento delle giornate lavorative del 20/11/2020 e del 18/01/2021 alle persone iscritte alla nostra sigla sindacale che lavorano presso le biblioteche dell’Università di Torino.
In queste due giornate l’Università di Torino per propri motivi interni (sanificazione in un caso e rottura dell’impianto di riscaldamento nell’altro) aveva deciso di sospendere il servizio.
Coopculture, che lavora negli appalti dell’Università aveva di conseguenza “messo in libertà” lavoratrici e lavoratori, non riconoscendo loro il pagamento delle giornate lavorative ma chiedendo loro di recuperarle.
Una nostra iscritta ed un nostro iscritto hanno deciso di non subire questa decisione e sono ricorsi al tribunale, seguiti dalla nostra O.S. e hanno finalmente ottenuto ragione contro un comportamento illegittimo.
Le cifre su cui si è discusso erano molto limitate ma è di estrema importanza il principio sancito dal Tribunale. Nessuna azienda può decidere unilateralmente dell’orario di lavoro dei/delle dipendenti mandandoli a casa quando non siano in grado di accettare la loro prestazione lavorativa.
Con questa sentenza si ristabilisce il buon diritto di lavoratrici e lavoratori alla certezza della propria prestazione lavorativa e si mette un limite alla facoltà delle aziende di spostare l’orario di lavoro a proprio piacimento.

I/le bibliocooperativiste si riuniscono tutti i mercoledì dalle 21 in poi presso la sede CUB di C.so Marconi 34 (2° piano) a Torino.

Resta aggiornato/a sulle nostre attività qui.

Negli ultimi mesi ci siamo mobilitate/i contro il sistema di esternalizzazioni presente attualmente in università. Come già denunciavamo in un comunicato di maggio

Il sistema appalti viene definito outsourcing e in Italia è ampiamente utilizzato sia nel settore del lavoro pubblico sia in quello del privato. Proprio negli ultimi anni sono esplose le lotte dei “parasubordinati” nel settore della logistica e della produzione con parole d’ordine sempre molto simili sul rispetto dei contratti di lavoro, sulle paghe da fame e sulle condizioni della sicurezza.(…) La condizione di mancato riconoscimento del nostro lavoro e dei nostri diritti non si limita alla nostra situazione ma riguarda anche altre figure presenti in Ateneo. Ad esempio portiamo le condizioni di lavoro del personale addetto al portierato, a cui la ditta nega il pieno riconoscimento della paga base di 6,80€ e le mobilitazioni del 2019 nel bar del Campus contro i licenziamenti di massa dopo l’ultima gara d’appalto! “

Sin dai primi di giugno è stata chiara la linea che l’Ateneo ha deciso di tenere anche quest’anno ed insieme  a colleghe e colleghi addetti in altre mansioni, sempre sotto contratto di servizio esternalizzato, ci siamo organizzati in presidi, conferenze stampa e avviata trattativa sindacale con richieste ben specifiche negli organi competenti di UniTo.

Le nostre richieste sono chiare:
1. Fine della stagione degli appalti e assunzione di tutte e tutti nell’azienda di gestione dell’ateneo con l’obiettivo della stabilizzazione
2. Cancellazione dei contratti pirata con i quali grandi aziende torinesi vincitrici degli appalti di UniTO, come REAR, pagano i e le proprie dipendenti pochi euro per ora;
3. Riconoscimento in sede di Statuto dell’Universita’ dei diritti vantati dalle e dagli esternalizzati, in primo luogo rendendo irricevibili i contratti che non prevedano una retribuzione minima almeno pari al salario mediano del paese

Qui la nostra intervista ai microfoni di Radio BlakOut!

Ci troveranno sempre pronte e pronti a lottare per i nostri diritti!

In Italia i salari sono più bassi di 30 anni fa. Il blocco dei rinnovi contrattuali, lo smisurato aumento di contratti part-time, la diffusione della flessibilità/precarietà sono stati i principali responsabili di questa spirale negativa e i settori del Commercio e della Grande Distribuzione sono tra i più rappresentativi di questa dinamica.

Salari bassi

Il CCNL Commercio e Terziario Confcommercio, è il più applicato dalle aziende, coprendo quasi 3 milioni di dipendenti. Rinnovato nel 2015, è scaduto a fine 2019. Nell’ultimo rinnovo era stato previsto un aumento salariale a regime di soli 85 € e, per circa un anno, le parti sociali avevano persino concordato di sospendere una tranche di aumento di 16 €.

Il CCNL Distribuzione Moderna Organizzata, rappresenta alcuni dei principali marchi della grande distribuzione organizzata (Ikea, Esselunga, Carrefour, Bennet, Metro, Zara, Ovs, La Rinascente ecc…). Nel 2019 ha parificato le retribuzioni a quelle di Confcommercio.

Questi due CCNL sono tra i più rappresentativi nei settori. Le retribuzioni base dei livelli più diffusi, che sono il 6° (operaio comune), il 5° (operaio qualificato) e il 4° (operaio specializzato), rispettivamente di 1405.87, 1508.95 e 1616.68, sono assolutamente inadeguate a fronteggiare il carovita e si riferiscono ai lavoratori full-time, cioè solo il 40% del totale!

A fronte di un’inflazione aumentata dello 0% nel 2020, dell’1.9% nel 2021 e di circa l’11% quest’anno, servirebbe un aumento di almeno 210 €, calcolato sul 4° livello. Ma l’indice ISTAT dei consumi utilizzato per calcolare l’inflazione ha poco a che fare con i consumi dei lavoratori; l’incidenza reale sulle classi popolari è ancora più forte, e quindi anche un aumento di quell’importo risulterebbe non sufficiente.

Precarietà

Le lavoratrici e i lavoratori di questi settori stanno subendo sulla propria pelle la sperimentazione delle forme più vessatorie di organizzazione flessibile del lavoro.

  • Commercio e GDO sono i settori con la maggior incidenza dei contratti part-time, che in Italia sono oltre 3 milioni. Sono in stragrande maggioranza “involontari”, cioè non richiesti dal lavoratore ma proposti dalle aziende, ben spesso anche di sole 20 ore settimanali che non garantiscono uno stipendio minimo adeguato. Quasi sempre vi sono abbinate le cosiddette “clausole elastiche”, cioè la possibilità per l’azienda di variare l’orario di lavoro del dipendente, con un preavviso minimo e a fronte di una piccolissima maggiorazione (1.5%), il che rende impossibile trovare un secondo impiego per arrotondare.

  • Gli ultimi rinnovi contrattuali, inoltre, hanno introdotto dei nuovi meccanismi di flessibilità delle turnazioni, per cui le aziende possono aumentare l’orario di lavoro fino a 44 ore settimanali (estendibili a 48 con accordi di II° livello) per 16 settimane all’anno, cioè durante i picchi di vendita, pagandole in ordinario e facendole recuperare successivamente !

  • Con la liberalizzazione del lavoro domenicale le lavoratrici e i lavoratori hanno subito una perdita salariale secca, passando dalla volontarietà all’obbligatorietà e da una maggiorazione del 130 al 30%.

  • E’ sempre più diffusa l’esternalizzazione in appalto di segmenti operativi (imbustamento spesa, consegna a casa, pulizie, ristorazione, vigilanza…) a cooperative e srl che applicano contratti nazionali peggiorativi. A ogni cambio d’appalto i lavoratori rischiano di perdere qualcosa, sino a diventare sotto pagati e precari. Emblematico è il caso dei servizi di prevenzione per la sicurezza, appaltato ad aziende che applicano il CCNL Servizi Fiduciari che ha paghe inferiori alle 5 € lorde all’ora. Questi lavoratori e lavoratrici sono una delle categorie più precarie e sfruttate del mondo del lavoro e nonostante ciò rischiano tutti i giorni la vita.

Rinnovo contrattuale? Le aziende vogliono più flessibilità!

Le associazioni datoriali hanno già tirato in ballo il “carobollette” per dire che i futuri aumenti salariali saranno risicati. L’ “evoluzione dell’organizzazione del lavoro” viene strumentalizzata per chiedere una ulteriore iniezione di precarietà, a partire dai mansionari e dell’inquadramento. Il rischio è di vedere quanto già accaduto nel CCNL Metalmeccanici e Servizi Ambientali, in cui il livello d’inquadramento (e lo stipendio corrispondente) sarà definito in base a un glossario composto da elementi come “autonomia-responsabilità”, “competenze relazionali”, “polivalenza”, “miglioramento continuo”, “problem solving” ecc… Questi però non sono parametri oggettivi come la mansione, ma sono valutazioni soggettive che possono essere deformate ad uso e consumo dell’azienda. L’obiettivo è quello di poter gestire ancor più liberamente la manodopera, favorendo anche i demansionamenti. Inoltre, aziende e Filcams – Fisascat – Uiltucs cercheranno di restringere ulteriormente gli spazi di democrazia in azienda, per provare ad arginare la diffusione del sindacalismo di base e soprattutto di impedire che si ripetano esempi come quello di Ikea, in cui l’azienda è stata condannata dal Giudice del lavoro a convocare il nostro sindacato, la Flaica – CUB alle prossime trattative nazionali sul rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale. La pronuncia chiarisce  che il datore di lavoro deve scegliere i propri interlocutori sindacali in base alla loro effettiva rappresentatività e non può escludere le organizzazioni sindacali che difendono in maniera intransigente i diritti dei lavoratori se queste hanno effettivo consenso. In pratica scardina il vigente sistema anti-democratico delle relazioni sindacali che ne garantisce il monopolio a CGIL – CISL – UIL, indipendentemente dal loro effettivo seguito tra i lavoratori e le lavoratrici. 

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Andrea Guazzotto

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